Chiunque volesse intervenire per esprimere la propria opinione in proposito può farlo mandando una mail qui oppure utlizzando il guestbook o il forum.

 

07 luglio 2005  di Antonio Greco

 

 

Messaggio vegliese straordinario per l’importanza della notizia.

 

 

Il Tar di Lecce, sezione prima, presidente Ravalli e relatore Manca, ha accolto il ricorso presentato da sette consiglieri della minoranza (Armonico, Aprile, Carlà, Greco, Paladini, Stefanizzi, Vetrano) per l’annullamento, previa sospensiva, del decreto n.11/05 con il quale il sindaco Fai nel nominare la Giunta aveva violato l’art. 51 della Costituzione, l’art. 6 del t.u. 267/00 e l’art. 32, comma 5 dello Statuto Comunale (“Nella composizione della giunta è garantita la presenza dei rappresentanti di entrambi i sessi”).

Il ricorso si era reso necessario dopo che, sollevata la questione in Consiglio, il Sindaco, con sufficienza, aveva risposto “di aver fatto la scelta giusta” a non nominare una donna in giunta e “di non aver calpestato assolutamente nulla e meno che mai la Costituzione” e dopo che, in data 2 maggio 2005, sette consiglieri di minoranza avevano inoltrato una nota di diffida per la revoca del decreto sindacale n. 11 per violazioni della Costituzione, della legge e dello Statuto. Anche a questa nota nessuna risposta.

Davanti a tanta arroganza e strafottenza, anche per la più totale assenza di un minimo di sensibilità politica per un problema di democrazia prima ancora che di rispetto delle leggi, i consiglieri di minoranza, impegnando soldi di tasca propria, si sono rivolti al TAR di Lecce e da esso hanno avuto giustizia.

Chi desidera leggere l’ordinanza del TAR, che è, sull’argomento, la prima in Italia, dopo l’integrazione dell’art. 51 della Costituzione del 2003, può chiedermela.

 

 

Per completezza e per un approfondimento, nel ripercorrere le varie fasi dell’argomento rispondo anche ad alcune polemiche sollevate in questi mesi sull’accusa di strumentalizzazione politica che qualcuno, in mala fede, mi ha voluto rivolgere.

 

Ho sollevato nel Consiglio comunale del 20 aprile, subito dopo la lettura dell’elenco dei sette assessori, il problema della mancanza di una donna nella Giunta del Sindaco Fai.

La reazione delle donne candidate alle amministrative del 3-4 aprile 2005 nelle varie liste, a cui è stato illustrato nei giorni successivi il problema, è stata incoraggiante perché lo hanno compreso in modo corretto e perché hanno messo in atto iniziative, oltre le appartenenze politiche, per una sensibilizzazione attiva e positiva del caso.

Singolari, per un verso, e abbondantemente attesi per un altro, sono invece gli interventi a riguardo del segretario del PDCI di Veglie sul sito di Veglieonline in data 18/5/2005 e di Stefania Capoccia nel consiglio Comunale del 20 aprile u.s.. Più singolari ancora appaiono i fatti accaduti, a riguardo, dal 21 giugno al 7 luglio 2005.

Analizzo prima gli interventi non per polemica ma perché contengono gravi deformazioni dell’impostazione del problema.

Cerco di chiarire la tesi che ho sempre sostenuto nel 1997 e 1999 e continuo a sostenere, con dati e citazioni che chiunque può verificare in atti ufficiali.

La tesi è questa:

“Il problema della presenza femminile nell’esecutivo non è problema di poco conto né tanto meno secondario. E’ un difficile problema culturale e politico che però non può prescindere dal problema giuridico. La Costituzione, la legge 267/00, lo Statuto comunale affermano che nella composizione della Giunta è garantita la presenza dei rappresentanti di entrambi i sessi. Ma appare altrettanto elementare la certezza che non esiste un diritto soggettivo di chicchessia, anche se dell’unica eletta in consiglio, a far parte dell’esecutivo. Nel caso di Veglie esiste un diritto oggettivo che almeno una donna faccia parte della Giunta ma è compito e facoltà del Sindaco sceglierla nominando l’unica consigliera comunale o attingendo ad altri soggetti qualificati esterni al Consiglio”.

 

Il Segretario del PDCI vegliese scrive: “Si tratta di norma, e come tale andrebbe rispettata dagli amministratori. I quali però dal 1997 sistematicamente la disattendono. Si tratta quindi di un problema vecchio e non risolto di cui ne ha fatto le spese per ben due volte la consigliera Stefania Capoccia, per due volte eletta con una maggioranza di governo e per due volte esclusa dalla Giunta.

La consigliera comunale S. Capoccia afferma: “Mi sembra strano che proprio lei, consigliere Greco, sollevi questa questione, considerato che siamo stati in amministrazione insieme dal ’97 sino ’99, se ricorda bene era il novembre ’99, ed anche allora ero l’unica donna. A differenza del Sindaco Fernando Fai, lei non si è comportato bene nei miei confronti (…) Il consigliere Greco mi ha chiamato in causa, io sono l’unica donna in consiglio, non ne vedo altre. Comunque, se vuole signor Sindaco io posso fare una proposta: al prossimo consiglio comunale per tagliare la testa al toro possiamo cambiare l’art. 32 al comma 5, che recita: “nella composizione della Giunta è garantita la presenza dei rappresentanti di entrambi i sessi”, a questo punto è meglio mettere: “Nella composizione della Giunta non è garantita la presenza femminile”.

Entrambe le affermazioni appaiono, a dir poco, superficiali e smemorate.

 

Ho amministrato Veglie per sei anni e mezzo e, di questi, quattro con la presenza in Giunta di due donne. Nel 1994 io ho fatto inserire nello Statuto comunale il comma 5 dell’art. 32 (ex co.5 dell’art. 24). Nel ’97 S. Capoccia dichiara liberamente (e se non è così provi il contrario) la indisponibilità, solo temporanea, a coprire la carica assessorile: “Io sottoscritta Stefania Capoccia, eletta Consigliere Comunale nell’elezione del 27 aprile ultimo scorso nella lista “Insieme per Veglie”, in questa prima fase della vita amministrativa non intendo svolgere il ruolo di assessore comunale e di avvalermi dell’art. n. 24 co. 5 dello Statuto Comunale, essendo l’unica donna eletta nel Consiglio, per motivi di carattere strettamente personali. Dichiaro altresì di rendermi disponibile ad una diversa valutazione ove il Sindaco, nel corso del mandato, intendesse avvalersi della mia collaborazione e comunque dichiaro di decidere in merito a quanto stabilito nello statuto comunale al momento di un’eventuale verifica” (dichiarazione resa nella seduta del Consiglio Comunale del 3/5/1997).

Già questa prima dichiarazione è viziata da “una pretesa individuale” inaccettabile. In molti modi, fino alla verifica amministrativa di metà mandato del giugno 1999, cercai di far comprendere alla consigliera che, pur non essendo esclusa dalla carica di assessore, le modalità con cui poneva il problema erano sbagliate e creavano conflitti amministrativi. In questa situazione il ricorso all’esterno (pur possibile) sarebbe stata letto come uno schiaffo all’unica donna eletta, la nomina dell’unica eletta pretendente sarebbe stata valutata come un cedimento a “pretese personali”.

Il 23 luglio del 1999 alle ore 8,00 la stessa Capoccia presenta una mozione “in cui scioglie la riserva della seduta di cui sopra” e chiede che il consiglio con un voto inviti “il signor Sindaco a provvedere con assoluta urgenza all’esatto adempimento previsto dall’art.1 comma 2 e dall’art. 2 comma 7 e dall’art. 24 comma 5 dello Statuto comunale attualmente vigente riguardante la parità e la pari opportunità tra i due sessi”. Fin qui la mozione è pienamente condivisibile e legittima. Ma poi subito aggiunge: invita il Sindaco “di tenere conto dell’unica rappresentante femminile presente in Consiglio Comunale”. Per quest’ultima affermazione il Direttore Generale dichiara inammissibile la mozione perché il Consiglio non può interferire con le prerogative esclusive del Sindaco e perché non esiste nessun diritto soggettivo di chicchessia a fare l’assessore.

La Capoccia il 26 luglio ’99 (tre giorni dopo), pur informata del vizio della mozione, presenta un’interpellanza sul perché della inammissibilità e ad essa il Sindaco risponde che la mozione andava riscritta perché “il Consiglio Comunale non può dire (al Sindaco) chi deve nominare all’interno della Giunta” (del. CC. n. 37/99).

La confusione tra diritto soggettivo e diritto oggettivo aveva generato nella Capoccia “un astio molto forte” (cfr. intervento del consigliere Milanese, del. cc. n. 38/99) che l’aveva portata ad allontanarsi dalla maggioranza e prepararsi all’”imboscata” del 22 novembre del 1999 (improvvise dimissioni di 11 consiglieri) e alla conseguente fine della legislatura.

La consigliera Capoccia, almeno nel consiglio comunale del 20 aprile, ha continuato con le confusioni, i rancori e con la calunnia. Improvvisamente, e non ho elementi per dire che cosa è successo in due mesi di tempo, il 21 giugno si converte alle mie tesi e presenta, da sola, un ricorso al Tar contro il Sindaco Fai per l’esclusione di una donna dalla Giunta. Ricorso discusso nella seduta del 6 luglio e la cui sospensiva è accolta. Nel frattempo, pur in presenza di un ricorso contro la maggioranza, ha votato con la maggioranza nel Consiglio Comunale del 28 giugno 2005. Tanto per la cronaca e per il personaggio.

Il segretario del PDCI, pur con tono più distaccato, incorre nella stessa confusione tra diritto soggettivo e diritto oggettivo, non tiene conto della Legge costituzionale n. 1/2003, si avventura nella parte finale del suo intervento in un predicozzo senza tener conto che con le amministrative del 2005 le donne in Consiglio potevano essere almeno due se non avesse bocciato, con le sue forti resistenze, la proposta di candidare a Sindaco, per DS - Rifondazione Com.- Società Civile e PDCI, una donna del suo stesso partito. Certo non avrebbe risolto il problema ma non staremmo ora a rimpallarci “inutili e ipocrite strumentalizzazioni”. Almeno questo!

 

Veglie 7 luglio 2005

                                                                        Antonio Greco