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mondo giovani |
16 giugno 2004 - Primo Piano - Sabrina Lezzi - sabrina@controvoci.it L’ombelico della discordia “Non è una questione morale, ma solo di prevenzione sanitaria: non firmerò più le giustificazioni per assenza delle ragazze che lamentano dolorini e problemi di vario genere e intanto vanno in giro con magliette tanto corte che lasciano pancia e schiena scoperta”. Quest’annuncio dato qualche giorno fa dal preside della Scuola d’Arte di Ortisei, in Val Gardena, ha creato un tale scompiglio tra le allieve della scuola che la notizia è immediatamente rimbalzata agli onori della cronaca. Il
caso non è nuovo: anche l’anno scorso, all’incirca in questo
periodo, il vicepreside di un istituto superiore di Rimini aveva
invitato le proprie studentesse a entrare in classe con l’ombelico
coperto. In questa circostanza però il preside era stato più diretto:
la sua non era una preoccupazione sanitaria, ma una vero e proprio
ordine a vestirsi in modo decoroso. E’
andata addirittura peggio negli Stati Uniti ad una quattordicenne di
Toledo, una città dell’Ohio: è entrata in classe con l’ombelico
scoperto e pantaloni a vita bassa, ed avendo rifiutato l’ordine di
coprirsi, è stata condotta in carcere ed incriminata per violazione del
codice di abbigliamento scolastico vigente in quello stato. (sic!)
Speriamo che in Italia non si arrivi a questo! In
effetti, al di là della giustificazione data da Karlheinz Mureda,
preside della scuola di Ortisei (“chi va in giro con pancia e schiene scoperte mette a rischio la propria
salute e questo non è giustificabile”), tesi peraltro non
confermata dai numerosi medici interpellati sulla questione, il vero
problema consiste nell’abitudine ormai consolidata tra le ragazze, e
non solo, di vestire con pantaloni a
vita bassa e magliettine o top molto corti, che mettono in bella
mostra ombelico e fondo schiena in ogni circostanza. E allora, di fronte
a questa moda, è naturale chiedersi: sbagliano i dirigenti scolastici
con i loro divieti (Bigotti? Repressivi? Anacronistici?) o le
studentesse che non hanno ben presente che esiste una bella differenza
tra scuola e discoteca? Personalmente
non ho mai amato i divieti, peraltro penso che con tutti problemi che
assillano i giovani, dalla droga (perché il preside che tiene tanto
alla salute dei suoi ragazzi non controlla i bagni delle scuola, dove di
solito si fuma e si spaccia?) alla violenza ai disagi familiari, non ci
si può permettere di aumentare le loro frustrazioni con iniziative di
questo genere! Ma è pur vero che educare i nostri ragazzi è un
diritto-dovere che abbiamo, per cui dobbiamo richiamare la loro
attenzione su alcune regole comportamentali di base. Il
mondo, infatti, vive di regole nel bene e nel male; noi le creiamo e noi
stessi dobbiamo rispettarle. Ma… Non dobbiamo lasciare al preside il
compito di imporre di vestire in modo più sobrio! Sono i genitori che
debbono insegnare ai figli l’educazione, sono i ragazzi stessi che
debbono avere il buon gusto di riconoscere che c’è un luogo adatto
per ogni nostro comportamento: è una questione di dignità e rispetto
per noi stessi e il prossimo. L’ambiente di lavoro così come la
scuola non è una spiaggia o l’espressione del tempo libero. In ogni caso, lungi da me etichettare o giudicare un ragazzo dall’aspetto. Sono ben consapevole che in ogni persona ci sono intenzioni, capacità e qualità personali, che prescindono dal modo di abbigliarsi. Non sopporto coloro che si atteggiano a psicologi, credendo che chi veste in un determinato modo non abbia ancora trovato la sua strada o che, per natura, sia un ribelle. Non approvo nemmeno chi ritiene che l’ombelico scoperto sia sempre e comunque il simbolo di un atteggiamento poco pudico da parte delle ragazzine, né tantomeno chi considera una magliettina troppo corta o un pantalone a vita bassa “un abbigliamento da battona”. In tali casi si tratta di vero e proprio eccesso di puritanesimo. Le ragazze hanno diritto di vivere la loro gioventù: seguire una moda, avere il piacere di mostrarsi fisicamente, essere anche trasgressive. Semplicemente perchè i tempi sono cambiati e i giovani sono più liberi di esprimersi, al di là degli sguardi di disapprovazione di chi rimpiange i “suoi tempi”, quando anche d’estate si indossavano capi con le maniche lunghe. L’unica cosa, invece, che mi spiazza è l’eccessiva disinvoltura e l’insofferenza alle regole dei giovani in determinati contesti. Per tali motivi ritengo che spetti a noi giovani educatori e ai genitori far capire che, se l’abito non fa il monaco, è pur vero che a scuola così come nel lavoro bisogna tenere un abbigliamento decoroso, anche e soprattutto per dare importanza ai compiti che sono stati assegnati e, in quel momento, si stanno svolgendo. |