Tristezza e gratitudine – “Il cuore e la ragione”

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Quello che “taglia le gambe” non sono tanto le grandi tragedie quanto la fatica del vivere quotidiano.

Ma è proprio dalle piccole cose quotidiane che ci aspettiamo qualcosa, tanto che anche noi come Cesare Pavese, scrittore ateo morto suicida, dobbiamo ammettere: “Qualcuno ci ha promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?”.

L’“attesa” definisce ciascuno di noi e questo non è un pallino per chi ha dei “pruriti religiosi”, ma è un problema da uomini che tutti affrontiamo riponendo la speranza in immagini che crediamo di conoscere: la moglie, il marito, il lavoro, i figli o altro.

Eppure col passare del tempo, anche queste cose sembrano degradare e lasciano una punta di amaro, una tristezza ultima, fino a farci dire che “non sono più come una volta”.

Questa tristezza ultima che sembra una pietra tombale sul nostro cuore, può essere invece una risorsa, un punto da cui ripartire.

Don Giussani chiarisce in modo mirabile la questione: “La tristezza è la condizione che Dio ha collocato nel cuore dell’esistenza umana, perché l’uomo non si illuda mai tranquillamente che quello che ha gli può bastare”.

Certo, possiamo chiudere gli occhi e illuderci, ma l’illusione è l’anticamera della delusione.

Il mese di ottobre ci offre come spunti di riflessione due occasioni incredibili.

Il 7 ottobre si festeggia la Madonna del Rosario. Dante parla della Madonna come “fontana vivace di speranza”, cioè possibilità di ricominciare sempre. Nessuno è la somma delle sue debolezze e la tristezza (desiderio di un bene assente) ce lo ricorda sempre.

La Madonna è l’icona della realtà gravida, che porta dentro di sé una cosa più grande, perché è attraverso le cose sensibili della vita che si scoprono quelle più vere: l’amicizia, l’amore, la fedeltà, la gratuità. Infatti il nostro muoverci è un pretesto in cui esprimiamo qualcosa (un desiderio) di infinitamente più grande dell’atto che compiamo.

Il 4 ottobre è stata la festa di San Francesco d’Assisi. Tenetevi forte: quest’uomo nel suo “Cantico delle creature” si è permesso di dire che tutta la realtà – la luna, il fuoco, la terra – è buona e utile.

Di più, ha addirittura ringraziato per “sorella morte” e a questo non sono arrivati nemmeno i tanti gruppi musicali rock che, al massimo, alla morte, hanno folcloristicamente inneggiato. Lui no: lui ha detto “grazie”.

La gratitudine è l’assetto dell’uomo maturo che riconosce di essere amato per quello che è.

Questo fa cambiare lo sguardo sulle cose e sulle persone e nel tempo uno impara a non puntare il dito sugli altri e a essere ironico con se stesso.

Il 7 giugno, ai centomila pellegrini che avrebbero camminato tutta la notte per 28 chilometri in quella monumentale festa di popolo che è il pellegrinaggio da Macerata a Loreto, Papa Francesco rivolgeva queste parole: “Non lasciatevi scoraggiare dai perdenti e dai paurosi…non cadete nella mediocrità…La vita non è grigia, la vita è per scommetterla per grandi ideali, per grandi cose”.

E’ tempo di mettersi al lavoro: smettiamo di seguire i mediocri e cominciamo a guardare chi scommette la vita per grandi ideali e non si fa scudo delle proprie miserie.

Abbiamo tutti bisogno di un “centro di gravità permanente”, non di una giostra che va su e giù a seconda del sentimento, ma un punto fermo.

Diamoci da fare per capire dov’è nella nostra vita questa bellezza che rende vere le cose, perché senza una bellezza presente anche le cose belle del passato diventano una nostalgia insostenibile.

(Tratto dal Giornale di Veglie Controvoci anno XVII n. 2 – novembre 2014)

Sulla sinistra dell’immagine in alto è rappresentato  “Il volo di Icaro”, opera di Matisse.Icaro, l’ampiezza del desiderio infinito dell’uomo. Gli elementi salienti che risultano dalla composizione sono, senza dubbio, le stelle e il cuore di Icaro. Icaro non è altro che l’allegoria dell’uomo, sempre alla ricerca di un compimento, di qualcosa che soddisfi la sua brama. Il desiderio è fatto così, si pare in una scala di orizzonti sempre più ampi. Icaro, allora, diviene il grido sfuggente dell’uomo che soffre l’attsa, il presagio di un bene che manca ma di cui ha infinitamente bisogno. 

Francesco Bogani

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